Elena Formica, Gazzetta di Parma: “Artista vero, uomo libero”


Elena Formica, Gazzetta di Parma: “Gandolfi: Artista vero, uomo libero”

 

dalla Gazzetta di Parma del 18 febbraio 2006 – pagina 9 di Elena Formica

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Molta commozione nel mondo musicale. Le reazioni di chi lo ha conosciuto

Artista vero, uomo libero

 

Pertusi: «Dal coro sapeva tirar fuori l’anima»

 

E’ una capitale della musica e si veste a lutto: é morto Romano Gandolfi. Parma ha perduto un figlio tra i suoi migliori. Da oggi ci sentiamo più soli. E anche Milano piange. Luigi Corbani, direttore generale dell’Orchestra Sinfonica di Milano «Giuseppe Verdi», ha il cuore stretto in un nodo di dolore: «Romano Gandolfi – dice – è stato un uomo straordinario, un grande musicista, un artista vero, una presenza insostituibile nell’attuale panorama non solo italiano. Nella musica che dirigeva metteva il cuore, l’anima, la poesia. Nulla di ciò che faceva rischiava la banalità. Sapeva andare sempre al fondo delle cose, perché la sua era una ricerca di verità».

Michele Pertusi: «Da un coro sapeva tirar fuori l’anima della vita, una virtù speciale»

Il basso Michele Pertusi ha un solo rimpianto: non aver lavorato con lui in una produzione operistica. E dice: «Ho conosciuto Romano Gandolfi al Conservatorio: era maestro di coro e docente di canto corale. Credo da un coro, qualunque fosse, riuscisse a tirare fuori l’anima della vita. Aveva un talento particolare per questo, una speciale virtù. Feci con lui, che in quell’occasione era direttore d’orchestra, un concerto al Teatro Regio di Parma: in programma il Prologo del ‘Mefistofele’ di Boito. Sì, Romano Gandolfi era un grandissimo musicista, la sua era una sensibilità straordinaria. Ha lavorato con Kleiber, con Abbado, con autentici miti. E’ stato loro amico. Mi dispiace aver fatto solo concerti con lui e mai un’opera lirica in palcoscenico».

Il direttore della più importante rivista d’opera italiana, Sabino Lenoci, così commenta la scomparsa di Romano Gandolfi: «E’ un altro grande che se ne va. Il preziosissimo mosaico dell’opera lirica – di quella che visse nei decenni scorsi un’epoca aurea fatta di artisti veri e di spettacoli memorabili – perde un altro tassello. E non c’è chi lo sostituisca. Non vorrei sembrare polemico, ma in un presente dove le ragioni del denaro vengono prima di tutto, la scomparsa di Franco Corelli, di Piero Cappuccilli, di Renata Tebaldi e adesso di Romano Gandolfi segna la fine di un’era e desta un allarme: dov’è la passione? O meglio: dov’è la dedizione alla musica, al canto, al teatro, se tutto si fa e si misura col denaro? Si sta chiudendo una pagina gloriosa e appassionata: dove andremo in futuro?».

Fulvio Villa: «Continuerò a ricordarlo attraverso i meravigliosi cori e la musica che ha diretto e inciso. Ci ha lasciato la libertà»

L’avvocato Fulvio Villa, membro dei Cda delle Fondazioni Regio, Toscanini e Parma Capitale della Musica, ha vivide memorie di Romano Gandolfi: «Era un amico. La sua morte mi addolora profondamente, ma continuerò a ricordarlo attraverso i meravigliosi cori e la musica che ha diretto e inciso. Di recente ero andato nella clinica specializzata di Abbiategrasso dov’era stato ricoverato per un’antica e penosa malattia che lo affliggeva da tempo, poi ci eravamo sentiti al suo rientro a casa. Quanti ricordi! Fu Romano Gandolfi ad aprirmi una porticina interna della Scala quando, esauriti tutti i biglietti, lo andai a cercare in teatro per poter entrare e assistere al debutto di José Carreras nel “Ballo in maschera” con Montserrat Caballé. Era il 13 febbraio 1976: giusto trent’anni fa. E poi frequentai sempre i suoi bellissimi concerti estivi a Santa Caterina del Sasso, un posto magico sul Lago Maggiore. I cori di Romano Gandolfi? Magnifici. Uno per tutti: quel “Patria Oppressa” dal Macbeth di Verdi che andò in scena alla Scala con la direzione di Abbado e la regia di Strehler. Non sentii mai più un coro così intenso, così sublime. Ma ci sono anche ricordi simpatici, molto dolci e affettuosi. Come quando Romano, indossando il ‘tight’ che gli aveva confezionato il fratello, esclamò: “E’ un po’ stretto, ma come faccio a rimproverare mio fratello?!”. Romano Gandolfi è stato un uomo e un artista libero. Attraverso la libertà perseguiva l’ideale. Romano mi ha insegnato questo: che bisogna essere liberi dalle passioni, dai condizionamenti, per vivere con assoluta dedizione un lavoro che coincide con la vocazione di un’intera esistenza. Il lascito di Romano Gandolfi: la libertà sopra tutto».

Gianni Baratta: «il suo è stato un dono di Dio. Colto e genuino, raffinato e appassionato, sempre sincero»

Gianni Baratta, direttore generale della Filarmonica Toscanini, è stato molto vicino a Romano Gandolfi in questi ultimi anni. La loro è stata un’amicizia robusta. Hanno realizzato opere e concerti. Hanno sempre fatto progetti. «Romano Gandolfi – dichiara Baratta – è stato un grande della musica. Ha lasciato un segno: ed è un segno indelebile. Il suo è stato un dono di Dio: cogliere il senso profondo della musica, andare oltre l’apparenza e toccare le corde più autentiche che portano alla verità. Il suo modo di far musica è stato colto e genuino al tempo stesso, raffinato e appassionato, sempre sincero. Il legame con l’Orchestra della Fondazione Toscanini era molto stretto e molte opere, molti concerti, sono stati fatti insieme. Il 18 marzo avrebbe dovuto dirigere il “Requiem” di Verdi all’Auditorium Paganini: il concerto comunque si farà e sarà dedicato a lui. Avrebbe dovuto dirigere un concerto a Piacenza e poi a Orvieto, trasmesso nel periodo pasquale dalla Rai. Non abbiamo mai cessato di fare progetti. A Romano Gandolfi sono legate alcune delle più belle produzioni operistiche della Fondazione Toscanini, memorabili eventi verdiani e tanta grande musica suonata e diretta con animo puro».

Carlo Bergonzi: «Non è stato sufficientemente apprezzato, è stato vittima del sistema»

Il tenerissimo Carlo Bergonzi non ha dubbi: «Romano Gandolfi è stato un grande musicista, un impareggiabile maestro di coro e un direttore d’orchestra di valore, certamente di valore, ma non sufficientemente apprezzato, in questa veste, come avrebbe meritato. Va detto: è stato vittima del meccanismo nefasto di un mondo, quello dello spettacolo, dove ti mettono un’etichetta (a lui quella di maestro di coro) e non te la tolgono più». Marco Faelli, maestro del coro dell’Arena di Verona, è stato suo allievo, poi suo collega. «Cercherò di portare avanti il suo insegnamento. Lo farò con i miei limiti, con la mia personalità, con le mie differenze». Lo ricordano con parole vibranti anche il direttore d’orchestra Fabiano Monica, la maestra di coro Silvia Rossi e la prima tromba dell’Orchestra Toscanini, Claudio Regi Canali. Una memoria affettuosa è quella di Martino Faggiani, maestro del Coro del Teatro Regio di Parma, e di Tina Viani, direttore di produzione dello stesso teatro. Andrea Rinaldi, vicepresidente della Corale Verdi, è stato vicino a Romano Gandolfi fino all’ultimo. Ha detto di lui molte cose, ma una possiamo dirla noi: Andrea Rinaldi ha amato Gandolfi con tutto il cuore di un parmigiano.

Elena Formica

 

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