Addio indimenticabile maestro Gandolfi


da L’Informazione del 19 feb 2006 – pagina Cultura e Spettacoli di M.E. Chiappari

 

Il grande direttore si è spento nella notte fra venerdì e sabato nella sua casa di Medesano. Aveva 71 anni

 

Addio indimenticabile maestro Gandolfi

 

Aveva collaborato con le migliori bacchette del panorama mondiale

 

La musica, prima di tutto. E’ stato questo l’imperativo categorico che ha accompagnato per tutta la vita Romano Gandolfi, il grande direttore di coro e d’orchestra scomparso nella notte fra venerdì e sabato, all’età di 71 anni, nella sua casa di Medesano. Nulla infatti avrebbe mai potuto fermare l’immenso amore per l’arte delle note che portò questo figlio della nostra terra sul podio dei più grandi templi mondiali della musica classica, accanto a personalità del calibro di Herbert von Karajan, Leonard Bernstein, Georges Prêtre, Carlo Maria Giulini, Claudio Abbado, Riccardo Muti e Riccardo Chailly.

«Non credo a quelli che ti insegnano il gesto, ma a quelli che ti fanno entrare la musica nel fegato», disse un giorno all’allievo parmigiano Marco Faelli, poi divenuto suo collaboratore alla Scala. «E di quel farsi penetrare dal senso più profondo della musica fino a viverla pienamente in tutte le sue sfumature, anche nella più dolorosa sofferenza, lui fu davvero un esempio eccezionale – ricorda Faelli- Penso che parte della sua grande capacità di coinvolgere orchestra e coro fino al punto da trasformare persino ogni prova in un evento straordinario, unico ed irripetibile, dipendesse proprio da quel suo darsi senza riserve in ogni occasione. La musica per lui era una sfida continua con sé stesso».

«Aveva una grande capacità di comunicare con gli artisti coi quali lavorava e sapeva coi quali lavorava e sapeva come ottenere il massimo da ognuno di loro – prosegue Faelli –Ricordo che una volta, alla Scala, in occasione di Lohengrin, erano arrivati quaranta aggiunti dalla Bulgaria che non capivano una sola parola di italiano. Ebbene, Gandolfi, col suo sguardo, i suoi gesti, l’inflessione della sua voce, le sue espressioni, il suo modo di comunicare, riuscì a far eseguire loro ogni sfumatura esattamente come voleva che facessero».

Era nato in quello che, a sentir lui, era il migliore dei posti possibili, Medesano, che amava in modo viscerale, tanto da farvi sempre ritorno, nonostante il suo lavoro lo portasse costantemente in giro per il mondo. Lì si sentiva a casa sua. «Ci diceva spesso che la nebbia che ci ha avvolto fin dall’ infanzia ci ha reso degli ottimi esecutori della musica verdiana racconta Claudio Regi Canali, prima tromba dell’Orchestra Toscanini – Certi ritmi che il cigno di Busseto ha scritto sulla partitura e che vanno eseguiti dandone una particolare interpretazione rientrano, secondo Gandolfi, nel nostro dna, quasi per una forma di assorbimento naturale dalla nostra terra natale. Il maestro ci confidava che spesso trovava difficoltà a far eseguire correttamente questi stesi passaggi alle orchestre americane».

Con l’Orchestra della Fondazione Toscanini di Parma il maestro aveva rapporti molto stretti, avendola seguita fin dal suo nascere. «Si era creata col tempo, fra lui e noi, una sorta di amicizia che andava al di là del rapporto di lavoro dice Giuseppe Affilastro, primo corno della Toscanini Oltre che un grande musicista, Gandolfi era un uomo di straordinaria sensibilità che non faticava ad esprimere ed era mosso da una grande purezza e semplicità: trionfatore nei migliori teatri del mondo, era rimasto fedele alla sua terra natale della quale ci parlava spesso. A volte si serviva anche del dialetto per raccontare aneddoti o per spiegarci, in modo efficace e con battute al vetriolo, quello che pensava. Una volta, in particolare, dopo una non brillantissima prestazione del coro di Aida a Busseto, al termine dell’opera ci disse: “Ragass, stasira a soma stè bass c’me i grugn” (ragazzi, questa sera siamo stati bassi come i radicchi, ndr). Un modo molto efficace, senza bisogno di sfuriate o di ulteriori precisazioni, per farci capire esattamente ciò che ci era mancato in quella circostanza».

Nemmeno il terremoto riuscì a fermarlo. Racconta Claudio Del Monte, ex addetto stampa e “memoria storica” del Teatro Regio: «Dopo il sisma del 1983 il Regio fu chiuso; la stagione lirica rischiava di essere cancellata. Fu allora che, con grande determinazione, il maestro Gandolfi si rivolse al sindaco e all’assessore alla Cultura dando la sua disponibilità a dirigere il Nabucco al Teatro Ducale e a contattare i suoi colleghi per impedire la cancellazione della stagione. Si presentò all’appuntamento con l’opera verdiana e la diresse con la consueta maestria e passione, impedendo così l’annullamento del cartellone». Ancora una volta, la musica, prima di tutto.

Maria Elena Chiappari