E’ Morto Romano Gandolfi


dalla Gazzetta di Parma del 18 febbraio 2006 – pagina 8 – di Gianluca Zurlini

 

PERSONAGGIO. Aveva 71 anni. Una grande carriera, ma restò sempre legato alle origini

 

E’ morto Romano Gandolfi

Da Buenos Aires alla Scala, da Barcellona al «suo» Regio

 

Romano Gandolfi dirige l'orchestra foto pubblicata da Gazzetta di Parma il 19 feb 2006 a pagina 8-9

Romano Gandolfi dirige l’orchestra
foto pubblicata da Gazzetta di Parma il 19 feb 2006 a pagina 8-9

E’ morto nel suo letto, in quella villa a due passi da Medesano che aveva acquistato e poi ristrutturato con tanto amore diversi anni fa. Dunque, è mancato proprio in mezzo alla «sua» gente. Forse un segno del destino per un grandissimo come Romano Gandolfi che nel corso della sua carriera aveva viaggiato in lungo e in largo per il mondo raccogliendo trionfi e ovazioni ovunque ma che era sempre rimasto orgogliosamente attaccato alle sue radici parmensi e parmigiane. Perché il direttore d’orchestra medesanese, che aveva 71 anni, era un vero «figlio» della nostra terra: in lui convivevano passione, genio, esuberanza e quel pizzico di spirito anarchico che in diverse occasioni gli fece sbattere la porta per l’insofferenza alle pastoie di una burocrazia che per lui, artista dal talento purissimo, non era assolutamente conciliabile con un lavoro che era prima di tutto una missione. Una «missione » che era iniziata da lontano, visto che Romano Gandolfi ha davvero percorso tutti i gradini della «gavetta» prima di arrivare a un successo costruito sulla volontà e sul sacrificio personale. Il suo talento musicale si evidenziò in un modo che al giorno d’oggi sarebbe impensabile: strimpellando alcune note su un mandolino dimenticato in casa dal «moroso» della sorella. Un passaggio rivelatore della sua sensibilità musicale che, a soli dodici anni, lo portò a iscriversi al Conservatorio di Parma. Un grande sacrificio per la famiglia del futuro direttore d’orchestra, ma assai lungimirante. Dieci anni dopo, a soli 22 anni, Romano Gandolfi, usciva diplomato a pieni voti dal «Boito» in pianoforte e composizione. Qualche anno di gavetta e arriva il primo, vero incarico: sostituto dell’allora celebre maestro Roberto Benaglio come direttore del coro al teatro di Catania, preludio al grande salto di qualità. Che arriva a 34 anni, quando, con grande coraggio, Romano Gandolfi varca l’oceano per diventare maestro del coro al Colon di Buenos Aires. Gli bastano tre anni per ritornare trionfalmente in Italia come maestro del coro della Scala. Una carica che manterrà per 12 anni, ma che ben presto gli divenne persino stretta. Già, perché se Romano Gandolfi è stato, a giudizio unanime, uno dei più grandi, se non il più grande in assoluto, maestro di coro, la sua genialità era tale che ben presto si affermò anche come direttore d’orchestra. Un passaggio difficile, quasi unico in un mondo selettivo come quello della musica lirica, ma che il maestro medesanese fece con disinvoltura. Tanto che si concede il lusso di andarsene polemicamente dalla Scala per essere subito dopo chiamato a dirigere l’orchestra del prestigioso Teatro Liceu di Barcellona. Ungesto eclatante che rivela appieno la sua forte personalità, non priva di quel pizzico di anarchia che, in fondo, regna nel cuore di ogni parmigiano sanguigno come sicuramente era lui. Dopo otto anni a Barcellona, diventa una sorta di «battitore libero», frenato solo parzialmente da un infarto che lo colpisce nel gennaio del ’94 avviando i suoi problemi di salute con i quali ha combattuto sino alla fine con grande tenacia. Nell’ottobre dello stesso anno sembra arrivare il coronamento del suo sogno: quello di lavorare per il Regio. il teatro della sua città con il quale ha sempre avuto un rapporto di «amore-odio» L’allora sindaco Lavagetto lo chiama come consulente artistico. L’«idillio» però dura solo un paio di mesi: troppo prorompente e geniale la sua personalità per resistere ai delicati equilibrismi politici che regolano i meccanismi della vita del teatro. Tornato al «vecchio amore», nel 1998 fonda il coro sinfonico «Giuseppe Verdi», sino a ieri è stato al centro dei suoi pensieri. Che, nonostante gli acciacchi, erano tutti proiettati verso il futuro. E con un solo rimpianto nel cuore: quello di non essere riuscito a essere «profeta in patria». Anche se nei suoi ricordi, e in quelli dei tanti melomani parmigiani che lo apprezzavano e lo amavano resta indimenticabile il trionfo del «Simon Boccanegra» al festival verdiano del 2001. A tutti gli appassionati di casa nostra rimane invece la tristezza di non averlo potuto applaudire un’altra volta «in casa»: il 18 marzo doveva infatti dirigere all’Auditorium una «Messa da requiem» che prometteva di essere indimenticabile. Ma si può essere certi che rimarrà ugualmente indimenticabile la traccia lasciata nella musica da Romano Gandolfi. Che è stato, e rimarrà per sempre, un Maestro. Con la maiuscola, come si conviene per i grandi.

Gian Luca Zurlini