Gandolfi, genio del coro e uomo di cuore


Gandolfi, genio del coro e uomo di cuore

Il Teatro alla Scala ricorda il Maestro a dieci anni dalla scomparsa

Foletto: «Ha lavorato con i grandi e con i “nuovi”
 come Abbado, lasciava spazio all’immaginazione
 e alla gioia di fare musica»

 

Gandolfi e Chailly per Masnadieri

Gandolfi e Chailly per Masnadieri

Il panorama musicale italiano ricorda Romano Gandolfi a dieci anni dalla scomparsa, come il più importante direttore di coro oltre che ottimo direttore d’orchestra. Al convegno al Teatro alla Scala hanno partecipato Bruno Casoni, attuale direttore del coro del Teatro alla Scala e il principe dei critici italiani Angelo Foletto, grazie alla collaborazione con il Centro Studi Romano Gandolfi-Favorita del Re di Medesano e la rivista L’Opera.

A trarre la sintesi è proprio Foletto, dall’alto della sua lunga e importante carriera, oltre che amico personale di Gandolfi, che ricorda come il termine Artista del coro nacque con Romano Gandolfi, «prima erano considerati solo un gruppo di cantanti “falliti”».

14052016-Convegno Scala«Ricordo la prima volta che conobbi Gandolfi – racconta Casoni – avevo ricevuto un incarico ma ero molto giovane e non conoscevo ancora bene il teatro. Mi incuteva un certo timore, lo vedevo uscire con la pelliccia dall’hotel Marino in cui abitava, a fianco della Scala. Era un personaggio importante. Fu subito molto disponibile, mi portò con lui in sala prove dove lavorava da solo».

«Aveva un matitino corto corto – prosegue l’attuale direttore del coro della Scala – suonava il piano con la mano sinistra mentre con l’altra mano segnava lo spartito e mi disse “così non si annoiano” riferito ovviamente al pubblico». «Faceva cantare il coro con il fiato, con il respiro – conclude Casoni – ricordo un Lucia di Lamermoor con sonorità incredibili».

14052016-gandolfi alla scalaDello stesso avviso Angelo Foletto: «Secondo Romano Gandolfi non si doveva preparare proprio tutto, si doveva lasciare una piccola parte all’improvvisazione, lasciava spazio alla fantasia, all’intuito, alla gioia di fare musica anche con imprevisti. Come faceva Kleiber, del resto».

«A segnare la carriera di Gandolfi – afferma il critico – è stato l’incontro con Benaglio. Ha poi avuto la possibilità di collaborare con nuovi direttori d’orchestra come Claudio Abbado ma anche con i grandi, già affermati, di quel periodo. Affrontò grandi scommesse come Oedipus Rex di Stravinsky. Propose anche le opere verdiane fino a quel momento pressoché sconosciute come Simon Boccanegra. E fu un successo».

Gandolfi e Abbado per Aida

Gandolfi e Abbado per Aida

Gustavo Marchesi ha invece inviato uno scritto in cui recita: «Gandolfi era erede in assoluto della coreutica greca – afferma Gustavo Marchesi nella nota – consapevole di essere il reggitore di una colonna portante dello spettacolo, la voce collettiva, la vox populi, chiedeva ai suoi di mettersi al servizio incondizionato di un lavoro d’insieme».

«Aveva una dignità solidissima, antica, umanissima – prosegue Marchesi – venuto da una civiltà terragna, cosciente della fatica e formato con altrettanta tenacia, spronava i suoi cantori, li batteva con la sferza dell’esempio, ma era il loro padre e fratello».

«Il coro – ha affermato Giancarlo Landini della rivista L’Opera – è la voce principale di ogni spettacolo. La stampella delle serate più tempestose».

Gandolfi diresse per l’ultima volta l’8 febbraio 2006, pochi giorni prima della morte. Generoso, impegnato e attento come sempre dopo una vita passata nei più importanti teatri italiani, dopo aver dato vita al coro sinfonico di Milano Giuseppe Verdi.

Silvio Marvisi

(clicca per inviare un’email)